giovedì 11 settembre 2008

Helvetica

Spinto dal tuo post, mi introduco nella tua rubrica per scrivere di un altro font: l’helvetica.
Lo si vede ovunque, forse troppo anche ma non si può dire che “non funzioni” e che vada bene un po’ con tutto, come il nero.
Rimane tutt’oggi un carattere attuale nonostante i suoi cinquantun’anni…e se non vado errato c’hanno fatto anche un film. Per incarico di Eduard Hoffman, direttore della Haas, un ex impiegato e progettista freelance: Miedinger creo questo set di caratteri; d’apprima chiamato “Neue Haas Grotesk”, cambiato in seguito in “Helvetica” (derivato dal latino per gli svizzeri).
La serie fu introdotta nel 1961 dalla Stempel e Linotype nel bel mezzo di un’onda rivoluzionaria nel campo del lettering e ben presto il font svizzero acquisì una gran popolarità facendo subito breccia nelle agenzie pubblicitarie e negli studi grafici.
L’Helvetica si vede ovunque; nei marchi, nelle decorazioni per automezzi, brochure, depliant e addirittura nelle stampe d’arte.
Caratteristica tipica di questo carattere è la sua eleganza unita ad un tecnicismo molto apprezzato dai grafici di scuola svizzera per la sua essenzialità e risolutezza formale.
L’inclusione nella grafica digitale fu nel 1984 nei font di sistema Macintosh…grazie Steve!

questioni di carattere

L’importanza che riveste il carattere tipografico nella progettazione grafica mi spinge ad iniziare una sorta di piccola rubrica a tema in questo variegato blog.

Nel vasto universo, oramai prettamente digitale, della grafica pubblicitaria ed editoriale, esistono una moltitudine di caratteri più o meno interessanti, storici, molto usati, improvvisati, vigorosi ancorché in Italia poco conosciuti. La tendenza è quella di affidarsi sempre agli stessi caratteri, per una sorta di ’sicurezza’ visiva e leggibilità che permette a molti di noi grafici di ‘andare sul sicuro’ anche quando gli stessi caratteri, se troppo visti, si neutralizzano e tendono a diventare noiosi. Lungi da me dare consigli su quale sia il carattere più cool, quello più leggibile, quello più usato e via discorrendo; in questo ameno e democratico lungo di confronto che vuole essere il nostro spazio vorrei solo raccontare delle piccole storie sulla nascita, la storia e l’uso di alcuni di questi certamente importanti protagonisti del nostro fare comunicazione. E, sebbene abbia promesso di non sbilanciarmi in osservazioni e pareri personali, comincerei con il GILL SANS, un carattere che mi piace assai.
Il GILL SANS è stato disegnato da Eric Gill e prodotto dalla Monotype, per volontà del consulente tipografico dell’azienda, il signor Morison, nel 1928. Non era il primo carattere commissionato ad Eric Gill ma è stato il primo ad essere prodotto da questa storica fonderia e, in origine, questo carattere era destinato ad un’insegna. I numeri minuscoli, molto utile nel comporre testi, sono stati prodotti privatamente ma mai realizzati da Monotype. Il Gill Sans fu adottato per tutta la pubblicità, gli orari e la segnaletica dalla LONDON & NORTH EASTERN RAILWAY.

Le sue caratteristiche tecniche lo fanno rientrare in quella classe di caratteri definiti bastoni, lineari umanistici in questo caso; è un carattere molto britannico, dalla leggibilità ottima e composto da forme esteriormente geometriche ma nello stesso tempo molto umanistiche che richiede un buon senso di pesi e misure. Le aperture variano (molto larga la c, più contenuta la a, piccola la e) e il corsivo è stato uno dei più rivoluzionari della sua epoca. Il contrasto fra pieni e sottili è più o meno marcato, l’asse è perpendicolare alla linea di base, il tratto terminale in alto della r è parallelo alla linea di base. Ha una fonderia estesa, molti stili e versioni extended e condensed.

Pur adottando la geometria elementare raccomandata dalla nuova tipografia modernista (esempi ne sono il Futura, il Frutiger, il famoso Helvetica di cui non mancherò di parlare, il Lucida) il Gill Sans conserva la vivacità della mano che l’ha tracciato e al contempo conferisce fluidità al testo.
Inizialmente si riteneva che fosse ben più adatto ai titoli, che fosse un’alternativa a un altro famoso carattere, il Johnston – disegnato dall’omonimo signore per la metropolitana londinese – dal quale ha sicuramente preso spunto (Gill aveva peraltro collaborato con Johnston alla prima versione del carattere); in realtà la sua vasta diffusione deriva da una marcata personalità. Basta guardare la sottile curva discendente della R, le aste trasversali spezzate a mezza altezza della M che evitano l’ombratura ottica tipica del maiuscolo delle M spesse. La larghezza delle lettere è uniforme e la a, la g e la t somigliano più al romano tradizionale che alle versioni spoglie proposte per esempio dal Futura.

Tutto ciò ce lo mostra il carattere stesso, con la sua storia visiva ricca di combinazioni, in migliaia di esempi: libri, brochure, annunci e quant’altro in questo lavoro si debba produrre per comunicare un concetto, una notizia, o raccontare una storia.

Scimmie, lo Zen e qualche daiquiri

Qualcuno ha scritto che lasciando 500 scimmie davanti ad altrettante macchine da scrivere per un periodo di tempo illimitato, queste se ne uscirebbero matematicamente con il più grande romanzo di tutti i tempi.
Immagine certamente bizzarra (specialmente se immaginiamo le scimmie sorseggiare un daiquiri con l’espressione annoiata dello scrittore arrivato), ma non priva di senso.

La tesi perorata dai dotti primati definisce il processo creativo come un percorso che conduce chiunque, prima o poi, all’eccellenza. Le opere mediocri si spiegano con la mancanza di perseveranza, l’arrestarsi prima di raggiungere l’inevitabile perfezione.

Se tutti noi avessimo tempo infinito per completare le nostre opere - siano esse romanzi, dichiarazioni dei redditi o lavori a maglia, avremmo forse la certezza assoluta della loro qualità?
Il genio, la fantasia… Quel je-ne-sais-quoi indefinibile che separa il sublime dal mediocre sono quindi solo una questione di intuito spicciolo? Forse un artista geniale è solo più abile a scremare velocemente la propria visione di tutti gli elementi inutili, a trovare una scorciatoia per quella destinazione che vedrebbe l’uomo (o la scimmia) comune arrivare dopo anni ed anni di lavoro indefesso?

O forse ognuno di noi è dotato di creatività e operatività uniche, che non vanno vincolate ad un astratto concetto di perfezione, con buona pace di Aristotele e del pensiero classico?

A noi - in tutta sincerità - questa storiella piace principalmente perchè ci sono delle scimmie (noterete che le abbiamo inserite nel sito dell’agenzia).

E delle macchine da scrivere.

martedì 9 settembre 2008

eravamo lì per caso

eravamo lì per caso, a quell’ora. di cosa parlo? del Glamroom, il nuovo padiglione, recentemente restylizzato, della Fiera di Vicenza. dopo aver visitato il corpo centrale di Choice, monotono dispiegamento di massa di ori e argenti e pietre preziose in stand blindati e ancorché poco accoglienti, ci siamo prontamente trasferiti, con grazioso e indispensabile servizio di pulmino annesso, braccioli in radica e aria condizionata al massimo – effettivamente sabato pomeriggio a Vicenza c’era un po’ di calura – all’ex Padiglione L ora rinominato, very chic very trendy very beautiful very glamour, GLAMROOM. l’esterno ti accoglie con un rivestimento a pattern molto piacevole, un monolite rosso che baldanzoso svetta nel cielo della sciatta e noiosa zona industriale che lo ospita, il logo tridimensionale e il muro d’edera – lungimirante la Fiera di Vicenza che ha deciso per una scelta bio-architettonica – che nasconde il vecchio ingresso. l’interno ospita il design minimale – con elementi d’arredo bianchi in contrasto con il nero, rosso fragola e il verde ‘foglioline di primavera’ dei muri divisori e dei soffitti, elegantemente posati su moquette a fiori – degli stand, intervallati da zone loungerie con pouf e sedute che ricordano un po’ i set di Spazio 1999. la loungerie principale è uno spazio regolare con origami luccicanti che definiscono i soffitti, pareti retroilluminate e tessuti metallici che delimitano gli spazi e divanetti bicolore dove puoi gustarti un drink. è indubbio che tutto il contesto sia lieve ed elegante, stilisticamente omogeneo e morbidamente accogliente, in poche parole confortevole e, come dice il sito stesso, molto MOOD. ma allora perché – e si sa, la classe non è acqua! in questo caso è thequando mi vedo portare dal mio amico enrico, e non da un cameriere, un the in lattina di quelli che trovi al discount non mi stupisco nel pensare che forse pochi sanno veramente cosa sia un’immagine integrata, omogeneità stilistica? mordida accoglienza?, dove definire anche questo tipo di particolari – il prosecco caldo?, vade retro! – abbia una sua significativa rilevanza. perplessi ci gustiamo le nostre banali e insipie bevande e guardando la fauna da fiera che ci passa davanti, tanti completi e cravatte e tacchi vertiginosi e trucchi e parrucchi, incrociamo anche la presentazione di un film in uscita, tratto da un bel libro di edizioni e/o dal titolo Scontro di civiltà per un ascensore in Piazza Vittorio di Amara Lakhous. il Glamroom Pavillon è ben vero che è uno stanzone rivestito di brillii e luccichii ma è pur sempre parte di un edificio industriale dove l’acustica non è certamente un punto forte. e dargli un microfono a questo povero cristo di regista? magari rosa e verde, in tono con i colori glamour del contesto e le stelle filanti del soffitto? perché, tranne le tre persone nelle immediate vicinanze delle celebrità in questione – chi sarà mai poi Anjel? – nessuno ha sentito una frase intera della presentazione. almeno alla fine uno stuolo di camerieri davvero molto eleganti ci ha servito stuzzichini e beveraggi adeguati alla situazione. e pensare che eravamo lì per caso.

sabato 6 settembre 2008

Il valore della grafica

Il disegno originale del logo della lingua che ha caratterizzato i Rolling Stones è stato acquistato dal Victoria&Albert Museum per la cifra di 92.500 dollari. Creato nel 1970 dall’allora studente, al Royal College of Art di Londra, John Pasche, il marchio fu pagato l’equivalente di 60 euro diventando uno dei primi e più noti casi di branding musicale.

http://sdz.aiap.it/notizie/10518

Questa notizia, come molte altre, l’ho letta sul sito di socialdesignzine, il periodico online di AIAP, portale in continua evoluzione sul mondo della comunicazione, anzi: il portale per eccellenza della comunità della grafica. Indispensabile per chi come noi fa questo lavoro, alle prese ogni giorno con un universo dai confini in continua espansione, ma aperto anche al pubblico più eterogeneo che vi può leggere riflessioni sulla progettazione visiva, notizie sulla comunicazione internazionale, quesiti etici e, non da ultimo, segnalazioni di mostre, concorsi e pubblicazioni di settore.

martedì 2 settembre 2008

IIG alla fiera Choice

Fervono i preparativi per la fiera dell’oreficeria e della gioielleria Choice - jewellery business is growing.
Idee Italiane Group sarà presente con un suo stand al padiglione G16… Veniteci a trovare!